piantine di plumeria

Sporge dal balcone di casa di ogni buon palermitano degno di questo nome
per averla ereditata in linea materna. Le mamme, infatti, procurano le
talee alle figlie maritande per portarsi dietro quell’odore di casa in
cui sono cresciute.
Plumeria acutifolia, della famiglia delle Apocynaceae il suo nome scientifico. Fu portata, a quanto pare, dagli inglesi a Palermo nei primi anni dell’Ottocento. Il successo dovette essere immediato visto che prosperò sugli “affacci” di conventi e signorili dimore, e pure sui balconcini di Ballarò, Capo e Vucciria. Fiorisce solo a Palermo a causa del microclima subtropicale che vuole per emettere i suoi fiori profumatissimi.
La prima illustrazione conosciuta di una pumelia porta la data del 1552, ma al botanico sacerdote marsigliese Charles Plumier (1646-1706) deve il suo nome anche se poi i francesi la battezzarono frangipanier dal nome del conte Maurizio Frangipane che aveva inventato un profumo simile a quello carnale del fiore della nostra pianta, al tempo di Caterina dei Medici.
Lucio Piccolo, il raffinato poeta cugino di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, intitolò “Plumelia” un suo libro di poesie stampato nel 1967, ma con un appunto «noi palermitani la chiamiamo pomelia: una stortura, forse, ma pittoresca perché il suo fiore sa di pomo ed ha la purezza della camelia».
Le plumerie vivono e fioriscono in tutte le aree a clima caldo umido del pianeta: il famoso “lei” la tipica ghirlanda hawaiana di benvenuto, è fatta con i fiori della pumèlia! Fino ai primi del Novecento con i fiori di casa si facevano i bouquets delle spose, al posto della zagara.
Nei mesi invernali si usavano i gusci delle uova a protezione dei futuri germogli: il guscio proteggeva dalla grandine gli apici, l’apertura alla base creava quella giusta ventilazione che evitava l’eccessiva condensa dannosa per la futura gemma.
Le nonne prendevano in giro i più piccoli raccontando che quello era l’albero delle uova bazzotte, ma pur sempre ciuruse per i piccoli palermitani.
Plumeria acutifolia, della famiglia delle Apocynaceae il suo nome scientifico. Fu portata, a quanto pare, dagli inglesi a Palermo nei primi anni dell’Ottocento. Il successo dovette essere immediato visto che prosperò sugli “affacci” di conventi e signorili dimore, e pure sui balconcini di Ballarò, Capo e Vucciria. Fiorisce solo a Palermo a causa del microclima subtropicale che vuole per emettere i suoi fiori profumatissimi.
La prima illustrazione conosciuta di una pumelia porta la data del 1552, ma al botanico sacerdote marsigliese Charles Plumier (1646-1706) deve il suo nome anche se poi i francesi la battezzarono frangipanier dal nome del conte Maurizio Frangipane che aveva inventato un profumo simile a quello carnale del fiore della nostra pianta, al tempo di Caterina dei Medici.
Lucio Piccolo, il raffinato poeta cugino di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, intitolò “Plumelia” un suo libro di poesie stampato nel 1967, ma con un appunto «noi palermitani la chiamiamo pomelia: una stortura, forse, ma pittoresca perché il suo fiore sa di pomo ed ha la purezza della camelia».
Le plumerie vivono e fioriscono in tutte le aree a clima caldo umido del pianeta: il famoso “lei” la tipica ghirlanda hawaiana di benvenuto, è fatta con i fiori della pumèlia! Fino ai primi del Novecento con i fiori di casa si facevano i bouquets delle spose, al posto della zagara.
Nei mesi invernali si usavano i gusci delle uova a protezione dei futuri germogli: il guscio proteggeva dalla grandine gli apici, l’apertura alla base creava quella giusta ventilazione che evitava l’eccessiva condensa dannosa per la futura gemma.
Le nonne prendevano in giro i più piccoli raccontando che quello era l’albero delle uova bazzotte, ma pur sempre ciuruse per i piccoli palermitani.
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